Sono friulano e mi sono sempre meravigliato della similitudine gergale che questi due popoli usano quando s’incontrano e si salutano lungo la strada: mandi e namastè, il primo in friulano e il secondo in nepalese.
La parola namasté significa “mi inchino a te”, e deriva dal sanscrito: namas (inchinarsi, salutare con reverenza) e te (a te). A questa parola è però implicitamente associata una valenza spirituale. Essa può forse essere tradotta, in modo più completo, come saluto (mi inchino a) le qualità divine che sono in te. Unita al gesto di unire le mani e chinare il capo, potrebbe essere resa con: le qualità divine che sono in me si inchinano alle qualità divine che sono in te. il significato ultimo del saluto è quello di riconoscere la sacralità sia di chi porge il saluto che di chi lo riceve
La parola mandi è la formula di saluto in lingua friulana. È utilizzata come forma di benvenuto/bentrovato soprattutto come formula di commiato. Nel Friuli medioevale, però, si usavano altre formule come, ad esempio, nel 1400 circa: che Deu vi conservi in sanitat (che Dio vi conservi in salute) e la simile del 1429 Deu vi conservi san (Dio vi conservi sano). Il notaio friulano Antonio Belloni, nato a Udine verso il 1479, nelle sue lettere salutava con un stait san (rimanete sano).
Ecco quindi spiegato, anche se in maniera sommaria, come Mandi e Namastè sono in qualche maniera capaci di unirci in un ideale abbraccio tra popoli con culture molto diverse e lontane.