Nel 1999 il comitato locale per lo sviluppo dei villaggi del Mustang approvò la costruzione dell’Autostrada trans-himalayana una strada dal Kore sul confine tibetano a Lo Manthang che consentisse agli autocarri cinesi di raggiungere la capitale del Mustang per portare rifornimenti di riso, legno, cemento, kerosene, materiale elettrico e trattori.
Una strada attualmente non asfaltata prosegue a sud di Lo Manthang fino a collegarsi con la nuova strada percorsa solo dalle Jeep che va da Beni a Jomsom. È da poco tempo aperta al traffico automobilistico l’arteria che collega Kathmandu a Lo Manthang evento inimmaginabile fino a pochi anni fa. Tale evento senza dubbi avrà delle profonde conseguenze sul tessuto sociale e culturale della regione.
La valle a est di Lo Manthang comprende Chosar, il sito dei gompa Garphu e di Nyphu, e alcune affascinanti grotte/abitazioni. In questa valle passa la più importante via commerciale per Lhasa, secondo Tucci “percorsa da secoli da pellegrini e apostoli, banditi e invasori”, come dimostrano le rovine di numerose fortezze disseminate lungo il percorso.
Le grotte abitazioni
Le grotte/abitazioni sono un compendio di circa 10.000 caverne artificiali scavate ai lati delle valli nel distretto di Mustang in Nepal. Diversi gruppi di archeologi e ricercatori hanno esplorato queste grotte e hanno trovato corpi umani e scheletri parzialmente mummificati che hanno almeno 2000-3000 anni. Le esplorazioni di queste grotte da parte degli archeologi hanno anche portato alla scoperta di preziosi dipinti buddisti, sculture, manoscritti e numerosi manufatti appartenenti al XII-XIV secolo. Le grotte si trovano sulle ripide pareti della valle vicino al fiume Kali Gandaki nell’Alto Mustang. I gruppi di ricerca hanno continuato a indagare su queste grotte, ma nessuno ha ancora capito chi ha costruito le grotte e perché sono state costruite. Il sito è attualmente elencato come sito provvisorio dall’UNESCO dal 1996.
I corpi mummificati
A metà degli anni ‘90, gli archeologi del Nepal e dell’Università di Colonia iniziarono a esplorare le grotte e trovarono diverse decine di corpi umani parzialmente mummificati, tutti di almeno 2000 anni. Nel 2010, un team di alpinisti e archeologi ha scoperto ventisette resti umani in due grotte più grandi vicino a Samdzong. Gli scheletri relativamente intatti, che risalgono dal terzo all’ottavo secolo, prima che il buddhismo arrivasse nel Mustang, avevano dei segni su certe ossa. Gli studiosi ritengono che questo rituale di sepoltura potrebbe essere stato collegato alla pratica bon–buddista della sepoltura celeste (Bon, scritto anche Bön, è una religione tibetana, che si identifica come distinta dal buddhismo tibetano, sebbene condivida gli stessi insegnamenti e terminologia generali).
Un macabro rituale
Ancora oggi, quando muore un cittadino nel Mustang, vige la consuetudine che il suo corpo venga tagliato in piccoli pezzi, ossa incluse, per essere rapidamente rapito dagli avvoltoi. Nel 2007, esploratori di Stati Uniti, Italia e Nepal hanno scoperto antiche arti decorative buddiste e dipinti, manoscritti e ceramiche nelle grotte vicino a Lo Manthang, risalenti al XIII secolo. Una seconda spedizione nel 2008 ha scoperto diversi scheletri umani di 600 anni fa e ha recuperato risme di preziosi manoscritti, alcuni con piccoli dipinti noti come luminarie, che contengono un mix di scritti del buddhismo e di Bon.
Nonostante il suo apparente squallore, la città di Lo Manthang è prospera e conserva un forte senso della comunità. Sebbene la gente del posto si definisca lloba (gente del Lo), in realtà questa popolazione è molto più vicina a quella tibetana e ha una cultura e un’economia sofisticate. Prima che gli scambi con il Tibet fossero interrotti, tutto il commercio del sale e della lana lungo il Kali Gandaki passava per Lo Manthang, e questo portava entrate economiche di un certo rilievo alla città. La ricchezza oggi si misura principalmente in terra, cavalli e posizione sociale.
Dove si abita
Le porte della maggior parte delle case immettono in un cortile centrale aperto a due piani. Il piano terreno è usato come magazzino per il cibo e i finimenti dei cavalli, per immagazzinare il letame da utilizzare come combustibile e per custodire gli attrezzi agricoli. Una scala di legno conduce al primo piano che in genere ha un balcone che si affaccia sul cortile e porte che si aprono sul salotto e la cucina. Una scala a pioli porta invece sul tetto, che è circondato da enormi cataste di rami di ginepro e legna. Il tetto è un’importante parte della casa: viene usato per rilassarsi o per lavorare al sole. Il tetto, nella maggior parte dei casi è decorato con corna di pecora e di yak e, nelle case signorili, con corna di shou (una specie estinta nota anche come cervo di Sikkim) che hanno oltre cento anni.
Le stufe a Lo Manthang
Praticamente ogni casa è dotata di servizi igienici interni al piano superiore che scaricano gli escrementi, mediante una condotta, direttamente in una camera del piano terra. Per coprire i cattivi odori viene sparsa della cenere sui liquami, che vengono in seguito utilizzati come fertilizzante. Le stufe a Lo Manthang hanno una struttura particolare. Si tratta di una struttura a tre braccia con una caldaia di 30 cm di altezza che scoppietta come un vulcano quando è alimentata con sterco di yak ed escrementi di capra. La gente raramente brucia legna del tetto per cucinare; in genere questa serve a ostentare la ricchezza della famiglia e viene usata in particolari occasioni cerimoniali.
I 7000 abitanti dell’alto Mustang chiamano loro stessi Loba. A voler essere più precisi la parola dovrebbe pronunciarsi “lopa” che significa “gente del Lo”, così come sherpa sta per “gente dell’est” e Khampa “gente del Kham”. La popolazione del Lo, forse a causa della dialettica locale, pronuncia la parola sostituendo il suono della “p”, usato dagli sherpa e khampa, con quello della “b”. Rispetteremo l’uso locale adottando la forma”loba” benché ciò contrasti con la maggior parte dei testi di antropologia.
La cinta muraria e il palazzo
In questa zona, per la costruzione di case e templi viene impiegata la terra battuta oppure mattoni di fango asciugati al sole su fondamenta di pietra. Con questo metodo sono state realizzate straordinarie opere d’architettura, come la cinta muraria e il palazzo di cinque piani di Lo Manthang. Si dice che un tempo il Lo fosse coperto da vaste foreste, ma ora il legname per l’edilizia proviene totalmente da Jomsom oppure viene ricavato dai pioppi coltivati con cura in ogni villaggio.
L’agricoltura è la base
Negli anni ‘90 del XX secolo la maggior parte del legno, compreso quello utilizzato per la ristrutturazione del gompa di Thubchen, fu importato dal Tibet. È degna di nota la notizia che le fondamenta di numerosi edifici sono costituite da massi tondeggianti e ciottoli, un’ulteriore indicazione che una volta il Mustang era sommerso dalle acque. La popolazione raduna in mandrie gli yak e alleva capre e pecore. La principale fonte di sussistenza deriva dall’agricoltura e la maggior parte delle famiglie coltiva campi di grano saraceno, orzo, frumento e senape.
La stagione della semina
Le rigide condizioni climatiche permettono la coltivazione di un solo raccolto l’anno ad eccezione dei villaggi al di sotto di Chhuksang dove è possibile ottenere due raccolti. La stagione della semina è in aprile e maggio, e durante il mese di settembre l’intera regione è occupata nella raccolta. Molti residenti lasciano il Mustang tra novembre e marzo per andare a vendere maglioni di lana nel Nepal meridionale o in India, o per cercare un lavoro a Kathmandu. In generale la popolazione del Mustang è in calo.
L’antico regno himalayano del Mustang è una terra arida e desolata di una bellezza ruvida e incontaminata. È stato a lungo protetto dal turismo di massa, e il suo fascino deriva dalla sua inaccessibilità e dalla sua reputazione di ultimo baluardo della cultura tradizionale tibetana. Per secoli questo regno aveva ammassato nei suoi monasteri la ricchezza derivante dalla sua posizione geografica, vero canale commerciale con il Tibet, creando opere assai pregevoli, come alcuni fra i più bei affreschi del mondo tibetano tuttora visibili.
Nell’accezione comune, il nome Mustang indica l’arida regione posta al confine con il Tibet, all’estremità nord del Kali Gandalà (chiamato Lo dalla popolazione locale). Probabilmente Mustang è il risultato della cattiva pronuncia in nepali del nome della capitale del Lo, Manthang. Ufficialmente il Mustang è la regione che si estende lungo il Kali Gandalà dal confine meridionale del Tibet a Ghasa, lungo il circuito dell’Annapurna. L’area ad accesso limitato di influenza tibetana si trova a nord di Kagbeni, ed è generalmente denominata Alto Mustang.
L’Alto Mustang è formato da due regioni distinte: quella a sud, che comprende cinque villaggi abitati da una popolazione affine ai manangi, e quella a nord (l’antico regno di Lo), dove lingua, cultura e tradizioni sono in genere tipicamente tibetani. Il nome della capitale del Lo, Manthang, in tibetano significa ‘Pianura (thang) dell’Aspirazione (mon)’. Molti testi riportano come capitale Lo Man-thang, il che non è del tutto corretto; in altri, altrettanto erroneamente, il nome del regno è Lho, translitterazione del termine tibetano che significa ‘sud’. Riassumendo, il Lo è la zona dell’alto Mustang a nord di Samar, con capitale Manthang. Sovrano del Lo è il Lo Gyelbu, benché in questo caso sia più giusto ricorrere al termine nepalese raja. Per evitare ogni possibile confusione con le cartine e i testi esistenti, chiameremo ‘Lo’ l’Alto Mustang e la capitale del Lo ‘Lo Manthang’.
In questa galleria troverete una serie di scatti da me fatti durante il trekking nel Mustang. Le fotografie partono da Kathmandu e arrivano fino alla capitale del Mustang: Lo Manthang per giungere successivamente alla destinazione finale Kathmandu passando per la suggestiva Pokhara. Qui troverete le foto scattate lungo la tratta Tscharang – Lo Manthang.
Fotografie e geolocalizzazione
Molte fotografie sono geolocalizzate con i riferimenti di latitudine e longitudine. Ingrandendole, usando il tasto del mouse, potete, in calce alla fotografia, vedere attraverso Google Maps, dove la fotografia è stata scattata.
Sono arrivato finalmente!!! Questa è stata l’ultima tappa da Tscharang a Lo Manthang Fatica? Certo non è stata una passeggiata, ma diciamo che c’è stato di peggio. Oggi ho camminato per 14 Km sul “borotalco” tanto la polvere era fine e impalpabile. Arrivi all’ennesimo passo e la vedi giù, in fondo, l’antica capitale dell’antico Regno di Lo: Lo Manthang. Un villaggio con meno di 2000 abitanti, sperduto nel mare delle montagne, che vive ormai nel passato, un regno ormai inesistente e con un re ormai, purtroppo, deceduto. Tutto ormai parla del passato: almeno il deposto re era un punto di riferimento per la popolazione. Ora è il regno di qualche negozio che vende improbabili cimeli artistici di un tempo di gloria. Non c’è nulla se non anziani in attesa che anche per loro arrivi il “vento”. Donne in continua preghiera sulle soglie di casa, che trovano ancora qualcosa da raccontarsi. Giri per le viuzze dove incontri deiezioni in ogni dove, attraversando le quali senti il muggire degli animali nelle stalle e il chicchirichì dei galli nei pollai, ma dove senti anche il risuonare dei tamburi che accompagnano le preghiere della sera e del mattino.
La precarietà
Qui tutto è precario. Le case, lungo i vicoli della città vecchia, sono appoggiate le une alle altre, tutte bianche con piccole finestre colorate. È tutto piccolo, angusto, buio e sporco. Ci fosse una casa con i muri perpendicolari al terreno o con una finestra con i lati tra di loro paralleli! Tra le case scorre veloce un rigagnolo sul quale le donne s’inginocchiano per lavare i piatti o fare il bucato. Gopal mi racconta che 20-30 anni fa qui la vita era completamente diversa. Oggi, molti dei già pochi abitanti fanno la stagione come i nostri rifugisti, per scendere a Jomsom o a Pokhara durante i rigidi inverni. Molti proprietari dei negozi che oggi sono chiusi sono oltre confine, in Cina, per affari. Ormai il paese è privo di giovani e, quindi, di futuro. Gli unici giovani che incontri sono attorno ad un pick-up con l’intento di aggiustare una ruota.
I colori dei templi
Lo Manthang è stata una delusione? Non direi proprio. Il paese non è poi tanto diverso dagli altri incontrati. È solo la parola “capitale” che t’illude. Di bello c’è il poderoso gompa di color rosso e gli innumerevoli templi sparsi lungo le viuzze del villaggio. Guardando questi luoghi dedicati al culto non puoi non paragonarli ai nostri. Aprendo le porte del tempio è come se aprissi la tavolozza dei colori. Il tempio è sì qualcosa che ti porta al rispetto, ma ti porta anche ad una predisposizione d’animo diversa, più serena e sciolta. I nostri luoghi di culto, tranne le ovvie eccezioni, sono per lo più austeri, grigi, incutono una certa soggezione nella loro grandiosità. Qui sono luoghi, mi dice Gopal, dove la gente si raduna per festeggiare. La Chiesa, nel mio modo di sentire, la vedo come luogo da frequentare per rispondere ad un comandamento, una cosa purtroppo completamente diversa, dove alla gioia si contrappone un obbligo.
Difficile trovare qualcosa di autentico
Purtroppo la trascuratezza è evidente come, mi racconta la guida, la depredazione costante, da parte dei collezionisti, dei beni rimasti nei templi. Corruzione e miseria aprono la strada a questi traffici che impoveriscono sempre di più il patrimonio culturale di queste zone. È ormai raro trovare nei monasteri qualcosa di veramente autentico. Le uniche cose autentiche rimaste sono forse i dipinti alle pareti, anche loro comunque in uno stato di vero degrado. Il resto sono copie di originali andati a rinfoltire le collezioni di qualche magnate in giro per il mondo. Il mercato nero è molto fiorente, alimentato anche dalla complicità di che dovrebbe controllare.
In conclusione
Lo Manthang è l’ultima tappa del mio trek nel Mustang. Ho camminato per 6 giorni e 74 chilometri vedendo un mondo molto lontano dal mio. Come avete letto, le riflessioni non sono mancate e nemmeno gli spunti per capire genti e situazioni diverse. Il viaggio mi è servito non solo a mettermi alla prova fisicamente ma anche a guardarmi un po’ dentro mentre coprivo le distanze tra i vari villaggi. Alla fine posso dire che il ricordo del viaggio forse sbiadirà con il tempo, ma certamente farò in maniera di non perdere le idee e gli spunti che questa esperienza mi ha lasciato nel cuore.
Fotografie lungo il trekking del Mustang- Kathmandu
In questa galleria troverete una serie di scatti da me fatti durante il trekking nel Mustang. Le fotografie partono da Kathmandu e arrivano fino alla capitale del Mustang: Lo Mantang per giungere successivamente alla destinazione finale Kathmandu passando per la suggestiva Pokhara.