Mustang Trekking – 28/10/2019 Tscharang – Lo Manthang
In questa galleria troverete una serie di scatti da me fatti durante il trekking nel Mustang. Le fotografie partono da Kathmandu e arrivano fino alla capitale del Mustang: Lo Manthang per giungere successivamente alla destinazione finale Kathmandu passando per la suggestiva Pokhara. Qui troverete le foto scattate lungo la tratta Tscharang – Lo Manthang.
Fotografie e geolocalizzazione
Molte fotografie sono geolocalizzate con i riferimenti di latitudine e longitudine. Ingrandendole, usando il tasto del mouse, potete, in calce alla fotografia, vedere attraverso Google Maps, dove la fotografia è stata scattata.
Il trekking nel Mustang 28/10/2019 Tscharang – Lo Manthang
Un regno ormai passato
Sono arrivato finalmente!!! Questa è stata l’ultima tappa da Tscharang a Lo Manthang Fatica? Certo non è stata una passeggiata, ma diciamo che c’è stato di peggio. Oggi ho camminato per 14 Km sul “borotalco” tanto la polvere era fine e impalpabile.
Arrivi all’ennesimo passo e la vedi giù, in fondo, l’antica capitale dell’antico Regno di Lo: Lo Manthang. Un villaggio con meno di 2000 abitanti, sperduto nel mare delle montagne, che vive ormai nel passato, un regno ormai inesistente e con un re ormai, purtroppo, deceduto. Tutto ormai parla del passato: almeno il deposto re era un punto di riferimento per la popolazione. Ora è il regno di qualche negozio che vende improbabili cimeli artistici di un tempo di gloria. Non c’è nulla se non anziani in attesa che anche per loro arrivi il “vento”. Donne in continua preghiera sulle soglie di casa, che trovano ancora qualcosa da raccontarsi. Giri per le viuzze dove incontri deiezioni in ogni dove, attraversando le quali senti il muggire degli animali nelle stalle e il chicchirichì dei galli nei pollai, ma dove senti anche il risuonare dei tamburi che accompagnano le preghiere della sera e del mattino.
La precarietà
Qui tutto è precario. Le case, lungo i vicoli della città vecchia, sono appoggiate le une alle altre, tutte bianche con piccole finestre colorate. È tutto piccolo, angusto, buio e sporco. Ci fosse una casa con i muri perpendicolari al terreno o con una finestra con i lati tra di loro paralleli! Tra le case scorre veloce un rigagnolo sul quale le donne s’inginocchiano per lavare i piatti o fare il bucato. Gopal mi racconta che 20-30 anni fa qui la vita era completamente diversa. Oggi, molti dei già pochi abitanti fanno la stagione come i nostri rifugisti, per scendere a Jomsom o a Pokhara durante i rigidi inverni. Molti proprietari dei negozi che oggi sono chiusi sono oltre confine, in Cina, per affari. Ormai il paese è privo di giovani e, quindi, di futuro. Gli unici giovani che incontri sono attorno ad un pick-up con l’intento di aggiustare una ruota.
I colori dei templi
Lo Manthang è stata una delusione? Non direi proprio. Il paese non è poi tanto diverso dagli altri incontrati. È solo la parola “capitale” che t’illude. Di bello c’è il poderoso gompa di color rosso e gli innumerevoli templi sparsi lungo le viuzze del villaggio. Guardando questi luoghi dedicati al culto non puoi non paragonarli ai nostri. Aprendo le porte del tempio è come se aprissi la tavolozza dei colori. Il tempio è sì qualcosa che ti porta al rispetto, ma ti porta anche ad una predisposizione d’animo diversa, più serena e sciolta. I nostri luoghi di culto, tranne le ovvie eccezioni, sono per lo più austeri, grigi, incutono una certa soggezione nella loro grandiosità. Qui sono luoghi, mi dice Gopal, dove la gente si raduna per festeggiare. La Chiesa, nel mio modo di sentire, la vedo come luogo da frequentare per rispondere ad un comandamento, una cosa purtroppo completamente diversa, dove alla gioia si contrappone un obbligo.
Difficile trovare qualcosa di autentico
Purtroppo la trascuratezza è evidente come, mi racconta la guida, la depredazione costante, da parte dei collezionisti, dei beni rimasti nei templi. Corruzione e miseria aprono la strada a questi traffici che impoveriscono sempre di più il patrimonio culturale di queste zone.
È ormai raro trovare nei monasteri qualcosa di veramente autentico. Le uniche cose autentiche rimaste sono forse i dipinti alle pareti, anche loro comunque in uno stato di vero degrado. Il resto sono copie di originali andati a rinfoltire le collezioni di qualche magnate in giro per il mondo. Il mercato nero è molto fiorente, alimentato anche dalla complicità di che dovrebbe controllare.
In conclusione
Lo Manthang è l’ultima tappa del mio trek nel Mustang. Ho camminato per 6 giorni e 74 chilometri vedendo un mondo molto lontano dal mio. Come avete letto, le riflessioni non sono mancate e nemmeno gli spunti per capire genti e situazioni diverse. Il viaggio mi è servito non solo a mettermi alla prova fisicamente ma anche a guardarmi un po’ dentro mentre coprivo le distanze tra i vari villaggi.
Alla fine posso dire che il ricordo del viaggio forse sbiadirà con il tempo, ma certamente farò in maniera di non perdere le idee e gli spunti che questa esperienza mi ha lasciato nel cuore.
Mustang Trekking – 27/10/2019 Ghami – Tscharang
In questa galleria troverete una serie di scatti da me fatti durante il trekking nel Mustang. Le fotografie partono da Kathmandu e arrivano fino alla capitale del Mustang: Lo Manthang per giungere successivamente alla destinazione finale Kathmandu passando per la suggestiva Pokhara. In questa sezione troverete le foto scattate lungo la tratta Ghami – Tscharang.
Fotografie e geolocalizzazione
Molte fotografie sono geolocalizzate con i riferimenti di latitudine e longitudine. Ingrandendole, usando il tasto del mouse, potete, in calce alla fotografia, vedere attraverso Google Maps, dove la fotografia è stata scattata.
Il trekking nel Mustang 27/10/2019 Ghami – Tscharang
Arrivare con le proprie gambe
Oggi la penultima tappa da Ghami a Tscharang; Gopal sta cercando una soluzione per farmi arrivare alla meta senza troppa fatica ma non si trova. L’ultima jeep era promessa ad una comitiva partita prima di noi. Dai, non perdiamoci d’animo e partiamo, né con il cavallo né con la jeep ma con le nostre gambe. Gopal è davanti, Balman dietro. Il passo di Gopal oggi è più lento, forse ha capito che ci separano più di vent’anni e a 3.500 metri si sentono tutti. Saliamo passo dopo passo e alla fine ci siamo. Sono arrivato all’ennesimo passo di questo bellissimo trek. Ce l’ho fatta senza cavallo e senza vettura e ne sono orgoglioso. Ormai voglio arrivare a Lo Manthang solo esclusivamente con le mie gambe. Se questo itinerario mi deve insegnare qualcosa, è quella di avere più fiducia in me stesso e nelle mie capacità. Gopal alla fine ha creduto più in me di quanto non abbia fatto io. Con calma e pazienza ci siamo riusciti. Ora che sono all’ultima tappa prima del mio arrivo a Lo Manthang, mi sembra tutto più facile e possibile.
Indù o Buddista: non centra
Qui a Tscharang ho visitato un monastero proprio bello. Sono accompagnato nella visita da un monaco. Certo che capire qualcosa di questa religione è proprio un’impresa. Qui la religione è proprio parte integrante e pregnante della vita di chiunque, sia essa induista o buddista. La cosa genuina è che non ne fanno un mistero, anzi per loro è quasi un vanto. Diversità abissale se rapportato al nostro senso religioso. Noi abbiamo quasi vergogna di parlare del nostro rapporto con la religione e con il nostro Dio. Qui passando davanti ad un tempio s’inchinano, sia esso indù o buddista.
Dubbiosi e fragili
Da noi, anni addietro, si faceva il segno della croce passando davanti ad una chiesa. Ora non più! Vergogna, distacco, menefreghismo, disattenzione, non lo so visto che anch’io sono tra queste persone; e forse per me è una forma di vergogna a mostrarmi in pubblico per quello che sono dentro, come se, così facendo, fossi vittima di una sorta di umana debolezza. In una società egocentrica dove tutto posso fare, dove tutto posso raggiungere e dove la forza del singolo vince, costi quel che costi, mostrarsi dubbiosi e fragili riconoscendo i propri limiti di fronte ad una entità spirituale quale essa sia, non è premiante. Si dirà che questa è una società agricola ormai da noi scomparsa, ma non mi basta questa spiegazione.
È questione d’intuito
Lungo la strada ormai la fatica svanisce e rimango con i miei pensieri. Ma perché mi ritrovo qui, in Nepal, per la quarta volta? Cosa m’attrae di questo mondo tanto lontano e diverso? Guardo dentro di me e mi vedo sempre puntuale, organizzato, programmatore del mio futuro, con questo bisogno di cercare sempre una definizione chiara e logica, un “punto di gravità permanente”, come dice la canzone di Battiato, “che non mi faccia mai cambiare idea sulle cose e sulla gente”, che mi spieghi tutto in maniera fissa e permanente.
Nel contempo vedo questo mondo e, più che capire, intuisco. Forse sono attratto dalla diversità di questa gente, che con il suo fare così “sciolto”, così libero nella semplicità, così profondamente e dignitosamente fragile, mi sta sussurrando che la vita si può cercare di vivere anche senza tanta paura per il futuro, senza il bisogno di una perenne ricerca di sicurezza e di punti fermi e fissi come cerco di crearmi io.
Il senso del trekking
Sono qui in mezzo al nulla e nel silenzio più totale, circondato dal blu e dal giallo dei monti e ancora più forte sento la fragilità di quello che credo essere le mie sicurezze. Il telefonino, l’assicurazione, il denaro. Certo non potrei farne a meno, ma almeno capire che, in mezzo al nulla del silenzio di queste montagne non servono a nulla è importante. Certo non potrei farne a meno ma, capire che il domani nessuno lo può definire con certezza e che quello che cerchi di costruire, molte volte, è vano, è importante. Forse questa è la cifra ed il senso di questo trek.
Il sole è alto e non soffia il vento
Le persone che ho incontrato hanno risposto sempre con il loro Namaste al mio Mandi, non mi hanno mai evitato abbassando lo sguardo verso lo straniero che vedevano in me come, invece, molte volte mi capita di fare quando incontro un “diverso” nella mia città. C’è questa semplicità di relazione, questo contatto quasi immediato, questa apertura che mi meraviglia. Non credo sia ingenuità, perché la miseria che circonda questi paesi non permette ingenuità; anzi! La risposta che si dà questa gente è il riconoscere la propria singola debolezza e ricorrere al gruppo del parentado e all’amicizia reciproca diventa forza per superare la difficoltà del momento.
Questa filosofia del bisogno rende tutto più flessibile e possibile. Se questo trek fosse in grado di farmi capire che è impossibile ed illusorio cercare “un punto di gravità permanente” mi avrebbe aiutato a crescere e a capire che si può vivere anche in un altro modo.
Sono a Tscharang! Non me ne sono quasi accorto. Il sole è ancora alto e il vento non soffia in maniera impetuosa e le preghiere appese in ogni luogo si muovono dolcemente mettendo una sorta di allegria.